martedì

L’intesa che vacilla sulla strada di Mosca.

 


Putin sarebbe «disponibile a un accordo per una pace permanente in Ucraina». La trattativa ruoterebbe attorno a cinque territori chiave e, all’interno del negoziato, potrebbe rientrare anche la ristrutturazione degli accordi commerciali tra Stati Uniti e Russia. Sono questi i punti emersi dall’incontro di cinque ore tra l’inviato della Casa Bianca, Steve Witkoff, e Vladimir Putin, avvenuto lo scorso 11 aprile a San Pietroburgo.

Un’apertura, questa, che però è stata subito smentita dai fatti: il nuovo attacco russo sul territorio ucraino, proprio nella domenica delle Palme, ha sancito l’ennesimo, lapalissiano elemento di questa guerra — il fallimento di ogni trattativa.

L’eco di questo disastro mediatico lo sente sul collo soprattutto Trump, che in una delle sue ultime dichiarazioni prende le distanze da tutti — ora definitivamente da Putin — tacciato alla stregua di un dittatore che ha un solo obiettivo: ricostruire l’Impero russo, anche a discapito dei territori in mano alla Nato.

Ed è proprio questo che fa più rumore: non tanto l’ennesimo attacco frontale del tycoon a Zelensky, reo di aver iniziato una guerra contro un nemico nettamente più forte, né l’attacco duro — l’ennesimo — a Biden. Sono le parole al vetriolo contro Putin a lasciare intravedere una prospettiva completamente diversa.

Non è un caso che il Presidente degli Stati Uniti abbia rimesso sul tavolo le drammatiche possibilità di una terza guerra mondiale che, a suo dire, sarebbe potuta essere evitata se fosse stato lui al comando allo scoppio della guerra russo-ucraina. Come a dire: “Ho fatto quello che potevo, ora è troppo tardi”.

Una sorta di cambio repentino di direzione che stride — e non poco — con le promesse di qualche mese fa: “Farò terminare la guerra”. E invece, anche il manto da salvatore di ogni diatriba si è sciolto contro le posizioni intransigenti dei due Paesi belligeranti, oggi più che mai ancorati alle proprie identità e, soprattutto, alle proprie ragioni.

Vacilla, in tutto questo, anche il potere di Trump, con il secondo passo indietro dopo il tentativo di exploit — poi ridimensionato — sui dazi all’intero pianeta.

Questo ci fa comprendere che le ragioni di ogni Presidente, Paese o agente dinamico chiamato in causa sono molto più forti di ogni singolo individuo. Anche di chi fa della forza delle parole, e del loro impatto dirompente, la sua più grande forma di autodifesa e attacco frontale.

Davide Beltrano