lunedì

Rende sceglie Sandro Principe: “La storia siamo noi” . Riflessioni sul verdetto.

 


Ha vinto Sandro Principe. Ha vinto la grandezza del passato che ora diventa futuro. Un dato netto, schiacciante, forse più di quanto ci si aspettasse. Perché, diciamoci la verità: la vittoria di Principe era un pronostico facile. Un po’ più difficile preventivare una vittoria con percentuali così alte. Un po’ per la forza degli avversari. Un po’ per i dissapori interni alla sinistra che potevano magari togliere qualcosa a Sandro Principe. E invece è stato l’esatto contrario: il leader che batte il partito. Il leader che sbaraglia tutti e ritorna ad amministrare un territorio ancora con le ferite aperte.

Il dopo Manna era molto difficile da gestire. Lo era per la destra che, con Ghionna, ha comunque fatto un ottimo percorso. E lo era soprattutto per Bilotti, ingabbiato ormai nel declino totale del Partito Democratico.

Per Principe è stato più semplice. È stato il leader politico che si è battuto su più fronti per dire no alla città unica. In molti avevano paura di esporsi in quel periodo, già convinti di progetti che avrebbero portato all’unione dei tre comuni. Sandro Principe, invece, è rimasto al suo posto. Con le sue convinzioni. Le sue certezze. La sua storia. Quella storia che tanto ha sbandierato in questa tornata elettorale, quasi come un sigillo di fiducia e lealtà nei confronti della sua Rende.

E i cittadini, che negli anni passati avevano provato a cambiare rotta, hanno compreso che forse l’usato sicuro in politica non è poi così negativo. Anzi, in termini territoriali, chi meglio conosce il territorio ha forse più chance di essere compreso dai cittadini.

Non c’è niente di sbagliato in questo. Una comunità vuole sentirsi sicura. Vuole vedere le proprie istanze portate in alto, nell’attenzione di un’amministrazione. E molti cittadini, dopo anni di superficialità, hanno puntato su chi meglio sentiva questo senso di appartenenza alla loro città.

Dall’altra parte gli sconfitti, con l’amarezza più atroce per Bilotti e il Partito Democratico, completamente annientati dal valore politico e morale di un leader da loro ritenuto ormai “il passato”. Si mettono in coda agli sconfitti anche i 5 Stelle, ancora una volta con risultati fragili sul territorio rendese.

Adesso, invece, arriva la sfida più audace: fare di Rende la città dei rendesi. Quei rendesi che si sentivano derubati da un commissariamento che aveva annichilito ogni senso di appartenenza. Rendesi che ora vogliono una guida forte e, poco importa se per questioni anagrafiche Principe non rappresenta il futuro: ora, come ora, conta la storia. E la storia ha emanato il suo verdetto. “La storia siamo noi”, cantava De Gregori. E Sandro Principe, con queste elezioni, chiude da vincitore: “nessuno si senta offeso”.

Davide Beltrano

mercoledì

Ci sono incontri e incontri: da Istanbul arrivando in Siria.


Ci sono incontri e incontri. Verità e temibili ipocrisie che si confondono tra viaggi d’interesse, mascherati da missioni per la pace, per la patria, o per chissà quale altra favola diplomatica. 

Incontri che cadono nel vuoto, come quello di Istanbul, che avrebbe dovuto rappresentare un momento quasi decisivo nella guerra tra Russia e Ucraina. Ma è bastato che uno dei protagonisti saltasse il banco per svuotare di significato il summit. Putin ci ha ripensato: al suo posto invierà un consigliere. Da lì in poi, è iniziata una reazione a catena di diserzioni. Trump ha declinato qualsiasi ipotesi di partecipazione, e anche il presidente ucraino Zelensky invierà un delegato — tanto per salvare la faccia, in una presenza che rischierebbe ormai di apparire solo come un segnale di debolezza. 

Insomma, qui si dice di volere la pace… ma non troppo. O forse, non la si vuole affatto. Si tratta, sì — ma si perde tempo. Si fa melina. Si va avanti ad oltranza. Istanbul poteva rappresentare una svolta, un passo concreto verso una mediazione. Invece sarà solo l’ennesimo incontro di facciata. L’ennesima occasione persa. 

Ci sono incontri e incontri, dicevamo. E c’è anche l’altro: la decisione di Trump di incontrare il leader siriano Ahmed al-Sharaa, descritto dal presidente americano come “un ragazzo giovane e attraente. Un tipo tosto. Con un passato molto forte. Un combattente”. Poco importa se, fino a pochi mesi fa, lo stesso al-Sharaa fosse un jihadista con una taglia di dieci milioni di dollari sulla testa. I nemici che diventano amici, in un attimo. 

Il dio denaro e quello degli interessi mutano il corso del tempo, capovolgono il senso delle identità. Vale nella vita come – e soprattutto – in politica. L’opportunità di cambiare abito, dai panni del criminale a quelli, più eleganti, di un presidente. Autoproclamato, certo. Ma pur sempre a capo di una nazione strategica come la Siria. 

Trump lo sa bene: i suoi progetti finanziari, in nome della patria, vanno oltre anche la patria stessa. Oltre il male degli anni passati. Oltre le ferite. Oltre ogni morte perpetrata in nome di un dio. 

Ci sono incontri e incontri, ripetiamo. Maschere che si alternano su un palcoscenico, e che, a seconda del pubblico, diventano specchio del tempo che viviamo. E degli interessi in ballo. Da tutelare. O da conquistare.

Davide Beltrano