Quello a cui abbiamo assistito nel confronto tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky potrebbe essere ricordato come uno dei momenti più significativi della storia recente. Un faccia a faccia duro, teso, che ha lasciato sul campo più macerie di quante ce ne fossero prima. Un confronto che ci ha detto molte cose: sulla guerra in Ucraina, sulle reali intenzioni degli Stati Uniti e sulla fragilità dell’Europa, spettatrice sempre più impotente di una crisi che rischia di travolgerla.
Trump ha affrontato Zelensky con il piglio di chi non cerca un dialogo, ma impone una linea. La sua frase, “non hai tu le carte in mano”, è emblematica: per lui, l’Ucraina è solo un tassello in una partita molto più grande, una scusa perfetta per ridefinire i rapporti tra Stati Uniti e Russia. Non c’è stata nessuna apertura alla mediazione, nessun tentativo di costruire una via d’uscita dalla guerra. C’è stato solo il ribadire, con toni quasi sprezzanti, che senza le armi americane Kiev non avrebbe avuto scampo. Un messaggio chiaro: l’unico arbitro del destino ucraino è Washington.
Ma se Trump ha giocato il ruolo del bullo di quartiere, Zelensky ha forse perso una grande occasione per farsi capire. Di fronte a un interlocutore così ostile, avrebbe dovuto provare a spostare il dibattito su un altro piano, smarcarsi dall’angolo in cui è stato spinto. Non era facile, questo è certo, ma il presidente ucraino avrebbe potuto provare a ribaltare la narrazione, a far emergere l’ingiustizia di una posizione che dipinge l’Ucraina come un semplice pedina e non come una nazione che sta lottando per la propria sopravvivenza.
In tutto questo, l’Europa è rimasta ai margini, quasi silenziosa. Un’Europa che dovrebbe essere protagonista della costruzione della pace e che invece viene dipinta, dallo stesso Trump, come l’agente del caos, incapace di garantire stabilità e sicurezza. Un’accusa pesante, ma che trova terreno fertile in una realtà in cui le leadership europee sembrano sempre più divise e in difficoltà.
Alla fine, ciò che resterà di questo incontro sarà la sensazione che il destino dell’Ucraina è ancora una volta nelle mani di altri. O che, paradossalmente, Trump potrebbe finire per essere il fautore di una pace imposta, modellata sugli interessi americani più che su quelli di Kiev. Se invece la guerra dovesse continuare, lo farà in un contesto ancora più pericoloso, con equilibri sempre più precari e con un’Europa che rischia di essere la grande perdente di questa partita.
Quello che è certo è che ieri non ha vinto nessuno. Ha perso la diplomazia, ha perso la possibilità di un dialogo reale. Ha perso la speranza che questa guerra possa finire con un accordo e non con una resa.
Davide Beltrano