lunedì 4 gennaio 2016

Intervista a Mario Caligiuri: "La questione meridionale è stata causata principalmente dalle incapacità della classe politica del Mezzogiorno".


Continuiamo la serie di interviste con un altro personaggio importante della Calabria. Dopo aver intervistato Pino Aprile, scrittore pluripremiato del meridione, e Dino Vitola, il manager-produttore più importante d'Italia, ecco che è la volta del Professor Mario Caligiuri, uno fra i più stimati docenti universitari che può vantare la regione Calabria, un intellettuale che ha servito le istituzioni da Sindaco. 
Consigliere provinciale e Assessore regionale, un uomo che ha sempre premesso la cultura alla politica.

E' un grande onore per noi de "L'Emarginato" continuare la nostra serie di interviste con una personalità di spicco come la sua. Benvenuto Professore.

"Troppo buoni. Grazie dell'accoglienza".




-Noi de l'Emarginato, ci siamo soffermati negli ultimi giorni sul caso di Locri con una lunga intervista al manager Dino Vitola. Innanzitutto le vorremmo chiedere che idea si è fatta della questione e poi se in qualche modo crede che tutto sia da far risalire alla 'Ndrangheta oppure sia l'ennesima speculazione mediatica.


"Ho letto diverse cose e mi sembra che sia la magistratura che le forze dell'ordine abbiano sostanzialmente escluso che si tratti di 'ndrangheta. In ogni caso, di sicuro Locri è un posto molto distante dal Paradiso, dove certamente la 'ndrangheta esiste ed esercita un forte  controllo sociale e una marcata penetrazione economica. Di sicuro, in linea generale, anche le squadre di calcio, sopratutto a livello dilettantistico, rappresentano un'area di interesse per la criminalità. Di sicuro però anche a Locri esistono fermenti di repulsione verso la 'malapianta': ricordo il movimento "Ammazzateci tutti" dopo l'omicidio di Francesco Fortugno, le incisive azioni di contrasto delle forze dell'ordine e della magistratura, le attività culturali ed educative dell'Amministrazione Comunale e della Scuola, gli investimenti sui beni culturali in tutta la locride, le nitide prese di posizione della Chiesa, la presenza di una casa editrice di qualità come quella di Franco Pancallo. Ovviamente tutto quello che riguarda la 'ndrangheta e accade in terra di 'ndrangheta fa  notizia. In ogni caso, non è mai abbastanza l'attenzione che si presta verso questo devastante fenomeno. Il problema non è avere timore che si rovini l'immagine perché la situazione è in ogni caso davanti agli occhi di tutti, ma contrastare la criminalità sul serio, con i fatti, sul terreno. A cominciare dalla solidarietà alla squadra di calcio femminile di Locri, capendo quello che sta succedendo perché la rinascita parte dal basso, inserendo nella società valori alternativi, fornendo esempi virtuosi, facendo comprendere i vantaggi della legalità". 



-Come crede che la Calabria possa uscirne da una vicenda del genere? Si rischia di cadere nel vittimismo oppure a volte ci creiamo fantasmi che non esistono?

"Anni fa il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga scrisse, con Pasquale Chessa, un volume dal titolo emblematico "Gli italiani sono sempre gli altri". Nel senso che attribuiamo sempre al diversamente da noi i problemi che abbiamo e i comportamenti deprecabili che registriamo. La criminalità organizzata è il problema dei problemi, che mina alle fondamenta l'economia e la democrazia. La questione è ormai mondiale, poiché le mafie operano a livello planetario e possiedono risorse economiche stratosferiche. Non a caso, c'è chi aveva previsto che il XXI secolo sarebbe stato segnato dal contrasto senza quartiere tra Stati legali e poteri criminali. Si sta profilando uno scenario in cui sarà estremamente difficile distinguere tra Stato e mafia. Questo non è un alibi ma l'acquisizione di una consapevolezza che deve indurci ad agire locale ma pensare globale. Purtroppo, però, è spesso inutile fare appello solo alla buona volontà dei cittadini ma occorre invece responsabilmente investire per formare una classe dirigente selezionata per merito, che sia in grado di affrontare i problemi dei cittadini, a cominciare dal lavoro, dalla sicurezza e dai servizi essenziali. Solo in questo modo si possono  assumere le scelte politiche necessarie per contrastare in maniera efficace la criminalità sia a livello globale che nei territori di partenza, come precise zone della Calabria". 



-Prima che un uomo di politica lei è un grande uomo di cultura. Pensa che la cultura oggi come oggi abbia ancora un valore essenziale, anche ai fini lavorativi, oppure siamo condannati ad aspettare la raccomandazione per trovare un lavoro?

"La cultura è una visione del mondo. Non è una parola astratta ma un complesso di valori che orienta i comportamenti individuali e sociali. La cultura è anche conoscenze, competenze, 'saper fare' e non solo 'saper pensare'. Che la cultura crei economia è una cosa ovvia: è come dire che quest'anno è il 2016. Il lavoro, come tutte le cose della vita, non cade dall'alto: si costruisce pazientemente. Le politiche assistenziali e clientelari che hanno accompagnato la storia d'Italia, e in misura più marcata dal secondo dopoguerra in poi, hanno dato l'impressione, anche su irresponsabili spinte sindacali, che il lavoro fosse scollegato dalla produttività, senza considerare che, oltre al diritto, il lavoro è anche un dovere. Si aggiunga lo scollegamento quasi assoluto tra scuola e mondo del lavoro e la qualità sempre più debole dell'istruzione e dell'Università, con divari territoriali notevoli. Tra studiare al Nord e al Sud, ci sono due anni di differenza. Ma tutto il Paese è in affanno, dopo decenni di scelte sbagliate. E oggi il problema è talmente vasto e incancrenito che le raccomandazioni politiche lasciano il tempo che trovano. E anche questo aspetto contribuisce, in qualche modo, ad alimentare la perversa credibilità della criminalità". 



-Professore Caligiuri, vista la sua grande esperienza politica, lei crede veramente che il Sud, e prima di tutto la Calabria, possa riuscire in futuro a donare qualche possibilità ai suoi giovani? Quelli che sentiamo in questi giorni sulla ripresa del Sud sono slogan o vere speranze?

"Il Sud e la Calabria hanno da sempre grandi risorse, in gran parte inespresse e mal valorizzate. Esistono realtà imprenditoriali, sociali e culturali di grande livello, importanti nel mondo. È per fare in modo che si crei lo sviluppo occorrono due condizioni: gli uomini e le infrastrutture. Per esempio, e lo dico per esperienza diretta, i fondi europei andrebbero orientati nel Sud quasi completamente in un'unica direzione: strade, porti, aeroporti, banda ultra larga. Tutto il resto, nella generalità dei casi, sono soldi buttati. Le politiche sul Sud sono in gran parte fallimentari da quarant'anni, ma va precisato che la questione meridionale, secondo me, è stata causata principalmente dalle incapacità della classe politica del Mezzogiorno. È questo dal 1861 in poi. Non vedo alcuna inversione di tendenza, semmai qualche peggioramento, nel decadimento generale".



-Un'ultima domanda prima di salutarla. Cosa consiglierebbe ad un giovane che dopo la maturità deve scegliere se imparare un mestiere o continuare a studiare. Crede che l'Università sia ancora la scelta da fare? Naturalmente a patto che uno ne abbia le qualità.

"Se uno arriva all'università e, come capita sovente, ha difficoltà a leggere e a scrivere, agli atenei non si può addebitare tutto. Certamente va detto che, in Italia come nel resto del mondo, le occupazioni più richieste non prevedono né lauree e né diplomi. Inoltre, negli ultimi decenni, sia per scelte di campanile che sindacali, le scuole e le università sono state ridotte ad ammortizzatori sociali per studenti e docenti. I risultati sono di conseguenza. Occorrerebbe una programmazione seria che individui le aree a maggiore necessità di occupazione, tenendo conto che alcune professioni saranno sempre necessarie. Ricordo sempre quella battuta per alcuni aspetti blasfema (ma di battuta di tratta) di Woody Allen già di qualche decennio fa: "Non solo Dio non esiste, ma provate a trovare un idraulico di domenica". Sono infine dell'opinione che per ottenere il proprio posto nel mondo occorre prima di tutto sapere leggere, scrivere e far di conto. Tutto il resto viene dopo. E per le persone veramente di talento si apriranno sempre tante porte perché la società ha bisogno di persone preparate per progredire".




-In questi ultimi giorni un grande della cultura italiana, Umberto Eco, ha detto che il Social network Facebook, sia stata una rovina in quanto anche gli imbecilli possono parlare. Noi de l'Emarginato siamo stati fortemente contrari a questa affermazione. Lei cosa ne pensa?

"Che Umberto Eco ha ragione da vendere. Anzi: da esportare. Il tema non è infatti quello di esprimersi, cioè di dire quello che si pensa, bensì pensare a quello che si dice. Oggi nei social network le opinioni di un avvinazzato hanno la stessa platea di quelle di un Premio Nobel. Viviamo in una società, come spiegava ben prima Hanna Arendt, in cui le opinioni si equivalgono e quindi scompare la verità. In uno scenario del genere, occorre sviluppare il pensiero critico che ci aiuti a distinguere il valore e  l'attendibilità di quello che leggiamo, ascoltiamo o vediamo. Ma questo esercizio vitale richiede studio, approfondimento e volontà. Restare in superficie non solo non ci fa cogliere l'essenza delle cose ma ci fa dimenticare forme di sapere. Dobbiamo resistere alla dittatura del presente, alla velocità delle informazioni, alla cultura del tweet rilanciando la profondità del sapere, le grandi narrazioni, la conoscenza della storia e delle idee. E quindi bisogna ripartire dalle parole, cioè da dove tutto ha avuto inizio e avrà fine". 

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