Avete presente quando un pregiudizio si insinua come un tarlo nella mente e diventa l’espediente più atroce per non ascoltare più niente e nessuno?
In politica funziona spesso così, più che guardare al merito si preferisce rimanere incatenati ai rancori, alle vecchie contrapposizioni, agli stereotipi che fanno comodo a chi non vuole discutere di programmi ma di simboli e appartenenze. È esattamente quello che accade intorno alla candidatura di Orlandino Greco, perché nell’immaginario collettivo la Lega resta ancora la voce del Nord e il movimento-partito Italia del Meridione, fondato da Greco, la voce del Sud. Una contraddizione che però esiste soltanto nella testa di chi continua a ragionare per schemi fissi, come se la politica fosse immobile, come se i partiti non potessero cambiare direzione o correggere gli errori del passato.
La verità è che la Lega di oggi non è più quella di vent’anni fa, non è più nemmeno quella di dieci anni fa, perché una parte consistente del suo consenso al Nord è svanita e il tentativo di radicarsi al Sud è diventato una necessità politica prima ancora che strategica.
Certo, nessuno dimentica le terminologie offensive che Matteo Salvini e la sua Lega hanno usato nei confronti del Mezzogiorno, ma c’è una differenza sostanziale tra chi persevera nello sbaglio e chi, invece, prova a fare ammenda con i fatti. Negli ultimi anni la Lega ha cercato di portare in agenda questioni concrete per il Sud, dall’Alta Velocità ferroviaria al completamento della statale 106, fino al potenziamento dell’autostrada A2, e si può discutere se siano promesse o risultati, ma resta il fatto che il partito, almeno nelle intenzioni, ha cercato di cambiare rotta investendo dove per decenni tutti hanno investito troppo poco. E se persino la Lega ha compreso che senza il Sud non esiste un’Italia solida e competitiva, vuol dire che qualcosa si è davvero mosso, perché non è il Meridione ad aver bisogno della Lega ma la Lega ad avere bisogno del Meridione.
È qui che la figura di Orlandino Greco diventa decisiva: la sua scelta è destinata a pesare come un macigno, perché può trasformarsi nell’occasione per dare credibilità a un progetto o, al contrario, nel colpo di grazia alle ambizioni meridionaliste di Salvini. Greco non è uomo che si lascia gestire facilmente, non è tipo da rinunciare alla sua autonomia politica, e se ha accettato un compromesso di questa portata lo ha fatto nella consapevolezza che il Sud non può continuare a stare in panchina, costretto a guardare da lontano partite che si giocano altrove. Ha scelto di sedersi al tavolo grande, di rischiare, di sporcarsi le mani, perché in politica a volte serve più coraggio nel compromesso che nella testimonianza sterile. E se al posto della Lega ci fosse stata Forza Italia probabilmente nessuno avrebbe sollevato un polverone, segno che più dei contenuti contano ancora i pregiudizi. Ma i pregiudizi non possono essere lenti uniche attraverso cui giudicare la politica, altrimenti tutto si riduce a un teatrino dove ognuno recita la parte assegnata senza mai cambiare copione.
La verità è che oggi il Sud ha inghiottito la Lega, e che non sarebbe affatto male utilizzare un partito di maggioranza per ottenere quelle riforme che il Mezzogiorno attende da decenni. Poi magari non tutto si realizzerà, magari le promesse resteranno a metà, ma il giudizio deve basarsi sui fatti e non sulle caricature del passato.
Perché se per Enrico IV “Parigi val bene una messa”, allora per Orlandino Greco il Sud val bene un compromesso con la Lega.
Davide Beltrano

Nessun commento:
Posta un commento