domenica

Sanremo 2026: un cast che divide e un banco di prova difficile per Carlo Conti

 

Il cast annunciato per il Festival di Sanremo 2026 ci consegna un messaggio chiaro e immediato: per Carlo Conti questa potrebbe essere una delle edizioni più complesse della sua carriera. Dopo settimane segnate da rifiuti eccellenti e trattative sfumate, il direttore artistico si presenta con una rosa di artisti che, pur mirando alla varietà e alla rappresentanza di generi differenti, sembra poggiare soprattutto su nomi meno affermati del panorama musicale italiano.


Non mancano i colpi di scena: la presenza di Tommaso Paradiso dà un peso importante al cast, così come incuriosisce la coppia inedita formata da Fedez e Masini, che promette attenzione mediatica e discussione sui social. Tuttavia, questi picchi non bastano a bilanciare un elenco che, per molti osservatori, appare meno brillante rispetto alle edizioni precedenti.


Una parte consistente dei selezionati non sembra avere, almeno sulla carta, il potere di attrarre pubblico al di fuori della propria nicchia. Un rischio rilevante, considerando quanto negli ultimi anni il “parco nomi” sia diventato uno degli elementi decisivi per il successo del Festival, in grado di catalizzare discussioni, ascolti, streaming e copertura giornalistica già settimane prima dell’inizio della kermesse.


Naturalmente, come spesso accade, la qualità delle canzoni potrebbe ribaltare ogni previsione: Sanremo ha costruito la sua leggenda proprio sulla capacità di sorprendere, lanciare talenti e rivelare brani destinati a rimanere. Ma allo stato attuale, il cast del 2026 appare uno dei meno convincenti degli ultimi anni, lasciando una sensazione diffusa di occasione mancata.


Conti, forte della sua esperienza e della sua credibilità televisiva, dovrà lavorare molto sulla costruzione dello show e sulla valorizzazione di ogni singolo artista per trasformare un cast apparentemente debole in una narrazione capace di coinvolgere il pubblico. Una sfida non semplice, ma che potrebbe diventare il fulcro dell’intera edizione.

mercoledì

Dov’è finita la sinistra calabrese? Il lungo declino di una forza che aveva saputo far sperare

 

La domanda che oggi aleggia nella politica calabrese non è un capriccio analitico, né una sterile provocazione: dov’è finita la sinistra che un tempo pulsava, che generava consenso, che sapeva interpretare bisogni, sogni e paure di una terra complessa? Dov’è finita quella forza che, solo pochi anni fa, aveva portato Mario Oliverio a governare la Regione Calabria dopo la stagione di Giuseppe Scopelliti? La sinistra che nel 2014 sembrava poter riaccendere una tradizione storica, sociale e culturale, oggi appare svuotata, smarrita, quasi dissolta sotto il peso dei suoi stessi fallimenti.


Non è un mistero, anzi è ormai percezione comune, che la sinistra calabrese abbia perso compattezza, mordente, identità. L’esito delle ultime elezioni regionali non è solo una sconfitta numerica, ma il simbolo di un crollo politico e narrativo. Pasquale Tridico, indicato come il possibile punto di ripartenza, è diventato invece la rappresentazione plastica di una leadership fragile, logorata dalle polemiche, prigioniera di un tormentone - “Resta. Torna. Crediamoci.” che lo ha accompagnato più della sua proposta politica. La sua campagna elettorale, scandita da tensioni interne e una comunicazione incerta, si è schiantata contro un Roberto Occhiuto capace non solo di consolidare un potere già forte, ma di parlare con un linguaggio determinato a un elettorato tradizionalmente refrattario.


Occhiuto ha vinto sui social, ha vinto sugli annunci d’impatto, ha vinto sull’immagine di concretezza. Ha saputo intercettare studenti e giovani parlando di “reddito di merito”, ha costruito una narrazione semplice ma efficace, ha dato l’idea di un governo dinamico, persino amichevole. Tridico, al contrario, ha perso su ogni terreno: visione, linguaggio, strategia, presenza. E soprattutto è venuto meno al suo stesso slogan, scegliendo Bruxelles e il suo calore istituzionale invece della lotta, aspra e piena di spine, che lo attendeva in Calabria. Una scelta che ha rotto il fragile patto con quei cittadini che, pur dubitando, gli avevano accordato una speranza.


Questo fallimento individuale si innesta però in un fallimento collettivo: quello di una sinistra regionale che da anni non fa autocritica, non elabora nuove classi dirigenti, non riesce a produrre parole che parlino davvero alla gente. 


La crisi calabrese è figlia anche della crisi nazionale, con un Partito Democratico guidato da Elly Schlein che fatica a imprimersi, a essere riconosciuto come alternativa solida, e di un universo di sigle progressiste che si muove come una costellazione slegata, spesso autoreferenziale. 


In Calabria questa frammentazione diventa smarrimento: non c’è una figura autorevole, non c’è un progetto politico, non c’è una visione. E ciò che resta è una nostalgia che guarda ai grandi del passato — a partire da Giacomo Mancini — come se il loro ricordo potesse ancora guidare un presente che però è cambiato radicalmente.


Il paradosso è che proprio questa debolezza a sinistra rafforza una destra che, pur con le sue tensioni interne e i suoi malumori sulle nomine di potere, appare compatta, determinata, costruita intorno a un leader carismatico. Una destra che, nonostante le traversie giudiziarie e i problemi strutturali della regione, riesce a comunicare l’idea di un percorso, magari lento e imperfetto, ma pur sempre un percorso. E in una Calabria stanca, sfiduciata, ferita, anche un piccolo passo avanti può sembrare un balzo verso la speranza.


La sinistra, invece, resta immobile. Prigioniera di logiche interne, divisioni storiche, personalismi, errori di comunicazione e incapacità di leggere la società. È come se avesse perso il legame con quella parte di Calabria che un tempo considerava naturale riferimento. Una Calabria che ha ancora bisogno di una visione progressista, soprattutto perché i temi che dovrebbero appartenere alla sinistra — lavoro, diritti, istruzione, ambiente, legalità, welfare — sono oggi più urgenti che mai.


Il punto è che per rinascere non bastano i nomi, non bastano le alleanze, non bastano i simboli. Serve un lavoro profondo, culturale prima ancora che politico. Serve ricostruire un’identità collettiva, una missione, un’idea di futuro che sia realmente alternativa a quella proposta dal centrodestra. Serve coraggio, serve verità, serve una leadership nuova, giovane o meno giovane ma soprattutto credibile, capace di parlare alla gente e non ai circoli interni.


La strada che attende la sinistra calabrese è lunga, tortuosa e irta di ostacoli. Ma non è impossibile. Perché ogni crisi può diventare opportunità, se affrontata senza alibi. Oggi però la sinistra sembra ancora smarrita nel suo labirinto, mentre la destra avanza compatta, capitalizzando ogni incertezza altrui. E se un cambiamento è possibile, dipende da quanto la sinistra avrà il coraggio di guardarsi allo specchio e riconoscere la propria debolezza, per trasformarla finalmente in forza.


Davide Beltrano

Ritornare alla militanza: una scuola politica per i giovani!


Viviamo in un tempo in cui la politica sembra essersi smarrita nei meandri della comunicazione virtuale. Le parole scorrono veloci sui social, i pensieri si consumano in un clic, le idee si disperdono nella superficie di un like. Ma la politica, quella vera, non è fatta di slogan effimeri o di apparizioni digitali: è fatta di presenza, di ascolto, di mani che si stringono e di sguardi che si incrociano. È fatta di militanza.

Noi di Italia del Meridione crediamo che sia tempo di ritornare alla militanza concreta, a quella partecipazione viva che unisce le persone nei valori, nel territorio, nella condivisione quotidiana. I social sono uno strumento, importante e necessario, ma non possono essere il fine ultimo di un impegno politico che voglia dirsi autentico.

La politica che sogniamo – e che vogliamo costruire – parte dal basso, dal contatto umano, dall’ascolto vero dei bisogni e delle speranze della nostra gente.

Crediamo che la militanza non sia un concetto antico o superato, ma una forma di consapevolezza. È la spinta che ci fa alzare ogni giorno con la voglia di migliorare il luogo in cui viviamo. È fatica, dedizione, ma anche entusiasmo e passione.

Ecco perché sento forte la necessità di una scuola politica per i giovani, un luogo di formazione e di confronto, dove idee e valori possano crescere insieme. Non un’utopia, ma un laboratorio di concretezza. Perché la politica non è velleità, ma essenza e costruzione del futuro.

Solo attraverso una militanza viva, continua e coerente con i nostri principi, possiamo restituire alla politica la dignità che merita.
Solo con la forza dei valori possiamo restituire speranza al presente e visione al futuro.
E solo così potremo davvero avvicinare le nuove generazioni alla politica, non come spettatrici, ma come protagoniste di un cambiamento reale.

Ritornare alla militanza significa ritornare a credere. E noi, in Italia del Meridione, ci crediamo davvero.

Avv. Felicia Tiesi
- Direzione Provinciale di Italia del Meridione -

VIVERE… O NIENTE!!!

 

Lasciarsi morire o decidere di morire. Un dilemma esistenziale. Un obbligo per alcuni, una scelta di vita… e di morte per altri. Dopo la notizia della scomparsa delle gemelle Kessler il dibattito è esploso di nuovo: è giusto poter scegliere di morire, o sarebbe più “giusto” seguire il corso della vita, così come arriva?

Qualcuno diceva che “prima di giudicare qualcuno, devi camminare per un miglio nelle sue scarpe”. Credo che mai come questa volta sia impossibile penetrare davvero nel cuore di ciò che hanno provato le due sorelle. Un legame profondo, viscerale, quasi primordiale. Un legame che non si può spiegare se non lo si è vissuto: loro non erano semplicemente due persone nate insieme, erano una sola identità distribuita in due corpi. Una simbiosi dolce e feroce, una presenza reciproca talmente radicata da rendere insopportabile l’idea di un mondo vissuto in solitudine.

Non conta se non sono riuscite ad andare “oltre” se stesse, perché questo va oltre ogni discussione: lì entra il territorio delle relazioni intime, dei rapporti che ti forgiano, delle ferite invisibili, dei litigi che cementano più di qualsiasi promessa. Ciò che conta è che le Kessler hanno scelto. E lo hanno fatto autonomamente, consapevolmente. Perché nessuno sceglie quando nascere, ma forse possiamo — almeno in parte — scegliere come vivere, come resistere, come dire basta a questa baracca folle che è l’esistenza.

Non può essere la fede a dettare legge su questo. Non un unico Dio, non un’unica visione morale. Se rifiutiamo le dittature in vita, non possiamo accettarle quando si tratta delle nostre decisioni più intime, quelle che non tolgono nulla a nessuno tranne che a noi stessi. Il dibattito è accesso, si apre come crepe su una superficie che a guardarla da lontano sembrava liscia. Ma la scelta suprema resta sempre lì, dietro l’angolo, soprattutto quando la sofferenza avanza e offusca tutto, quando la dignità è l’ultimo baluardo che ci rimane.

Non si giudica chi decide di vivere un martirio: non si dovrebbe giudicare chi sceglie il contrario. La libertà rimane tale solo se non arreca danno a terzi, e in questa scelta il danno non esiste: è un atto che riguarda solo sé stessi, un solstizio privato, un punto di svolta che ognuno dovrebbe essere libero di stabilire.

Poche manfrine. Poche chiacchiere fra scienza e fede. Ci sono momenti in cui la vita diventa una domanda troppo grande per essere risolta con un dogma.
E alla fine resta una sola verità: il rispetto.

Il rispetto per chi resta, per chi sceglie, per chi lotta e per chi smette di farlo.
Perché la dignità — quella vera — non conosce tribunali.»

Davide Beltrano

martedì

Gestione idrica, Greco replica alla Morrone: “Ricostruzione falsa e tecnicamente infondata. Castrolibero non poteva partecipare al PNRR”.

 

Si accende il dibattito sulla gestione idrica a Castrolibero dopo le dichiarazioni della consigliera Morrone, che ha diffuso un post accompagnato da una foto con l’amministratore Sorical Calabretta.

Per Giovanni Greco — ex sindaco, oggi assessore al Bilancio e già presidente del Consiglio direttivo dell’EGA (Ente di Governo dell’Ambito dell’AIC) — quanto dichiarato «è falso, pretestuoso e fuorviante».

- L’ambito territoriale istituito con la Legge Regionale 18 maggio 2017,  n.18 

I Comuni calabresi non possono partecipare a bandi autonomamente ma solo attraverso l’ambito territoriale ottimale istituito con apposita l.r. 18 maggio 2017 n.18, attraverso la quale si dispone l’organizzazione del sistema idrico integrato. L’autorità idrica calabrese, AIC, oggi ARRICAL, svolge, infatti, le funzioni di programmazione, organizzazione e controllo sull’attività di gestione del servizio idrico integrato nel rispetto delle norme e in conformità con quanto disposto dalla legislazione comunitaria e nazionale. 

La stessa Sorical risponde alla consigliera Morrone: “Occorre una doverosa precisazione al sua post: il Comune di Castrolibero, così come tutti i comuni d'Italia, non poteva partecipare ai bandi del Pnnr o o chiedere l'accesso da fondi Ue o nazionali per l'efficientamento delle reti idriche. In Italia solo gli Enti d'Ambito (come Arrical) e i gestori (come Sorical) possono partecipare ai bandi di finanziamento per il settore idrico”.

Greco, quindi, smonta l’affermazione della Morrone secondo cui Castrolibero “non ha mai partecipato ai bandi PNRR per la rete idrica”.

«È una ricostruzione totalmente errata» spiega l’assessore.

«Nel 2017 — ricorda Greco — tutti i Comuni calabresi, Castrolibero compreso, sono rientrati nell’ambito territoriale unico e da quel momento, cosi come previsto dalla legge, solo l’ente d’ambito poteva e può partecipare ai finanziamenti previsti per il servizio idrico integrato, e non i singoli Comuni. La consigliera omette questo passaggio decisivo e crea un falso presupposto politico».

Greco aggiunge che il PNRR, approvato in versione definitiva dopo le modifiche richieste dall’UE da luglio 2021 (l’approvazione definitiva del PNRR come piano nazionale è avvenuta il 13 luglio 2021 con la Decisione di Esecuzione del Consiglio UE, ma è stato successivamente modificato più volte), non permetteva l’accesso diretto ai Comuni per gli interventi idrici ricadenti nell’ambito territoriale.

«Castrolibero non poteva partecipare — ribadisce — perché la normativa lo vieta. Non è una scelta politica: è un vincolo di legge.»

Greco sottolinea poi che Castrolibero ha contribuito a redigere il Piano d’Ambito predisposto dall’AIC tra il 2019 e fine 2020:

«È un documento generale che individua gli interventi necessari per la rete idrica calabrese: adduzione, distribuzione, recupero delle perdite, infrastrutture critiche. 

Da ex presidente dell’EGA, Greco ricorda di conoscere “con precisione la linearità tecnica e temporale dell’intero processo idrico regionale”.

Greco risponde anche all’appunto della Morrone, relativo al calo di pressione idrica:

«Che il problema derivasse da una crisi idrica generale era già noto, comunicato e documentato. Presentarlo come una scoperta ottenuta in un colloquio con Sorical è fuorviante e induce i cittadini a credere che l’amministrazione fosse all’oscuro di tutto, cosa completamente falsa».

Sul tema delle utenze classificate come “domestico non residente”, Greco chiarisce:

«Da mesi stiamo collaborando per aggiornare gli elenchi e correggere possibili  errori, affinché ogni cittadino paghi il giusto e possa ottenere il bonus sociale quando ne ha diritto. Non è certo una novità emersa oggi». E infine Greco conclude. «Quella della consigliera Morrone é una narrazione costruita per creare confusione e mi spiace veramente che tutto questo venga fatto su un tema così importante come il sistema idrico regionale. Sulla gestione dell’acqua occorrono la conoscenza degli atti e il rispetto delle istituzioni. Diffondere informazioni inesatte significa alimentare sfiducia nei cittadini e generare un dibattito falsato. L’amministrazione continuerà a lavorare sui fatti, non sulle invenzioni e sarà proiettata al dialogo, come sempre, ma che esso avvenga su verità documentate e non su semplici illazioni che lasciano il tempo che trovano.»