Negli ultimi mesi le allerte meteo sono diventate parte della nostra quotidianità. Bollettini colorati — gialli, arancioni, rossi — che, nel giro di poche ore, generano un effetto domino: chiusura delle scuole, blocchi del traffico, servizi sospesi, famiglie in difficoltà a organizzare la giornata.
Una prudenza necessaria, certo, ma che troppo spesso sfocia in una gestione confusa e sproporzionata rispetto ai reali rischi.
Le allerte vengono diramate dal Dipartimento della Protezione Civile, che elabora previsioni e valutazioni basandosi sui dati meteorologici regionali. Ogni Regione, a sua volta, comunica ai Comuni il livello di rischio, e i sindaci – in qualità di autorità locali di protezione civile – decidono se disporre la chiusura delle scuole o altre misure di sicurezza.
È una catena di responsabilità che, almeno sulla carta, dovrebbe garantire prontezza ed efficienza. Ma nella pratica, sempre più spesso, si traduce in incertezze e disagi.
Molti sindaci si trovano davanti a un bivio: seguire alla lettera le allerte per evitare responsabilità o valutare con buon senso la reale entità del rischio. Così, anche in presenza di piogge moderate o previsioni non sempre confermate, le scuole restano chiuse, i genitori si organizzano all’ultimo minuto, e il senso di allarme si diffonde ben oltre la necessità.
Non si tratta di minimizzare i pericoli — il cambiamento climatico impone cautela e rispetto per le regole — ma di ritrovare equilibrio. Un’allerta meteo non dovrebbe paralizzare la vita quotidiana, né alimentare la paura.
Serve una comunicazione più chiara, più uniforme, e soprattutto una maggiore responsabilità nell’applicazione delle misure: la sicurezza non può trasformarsi in burocrazia o in panico collettivo.
Perché la vera prevenzione non è chiudere tutto a ogni goccia di pioggia, ma educare alla consapevolezza, investire nella manutenzione, e restituire fiducia alle istituzioni che gestiscono l’emergenza.
In questo anche l'informazione gioca un ruolo fondamentale, troppo spesso, infatti, si è calcato la mano con titolo ad effetto, vocaboli che sono entrati in modo prepotente nella nostra quotidianità come bombe d'acqua o allerta di colore rosso oppure nomi di cicloni in arrivo per destare più paura. Un modo di fare informazione che confonde, spaventa... destabilizza.Bisognerebbe trovare, quindi, un equilibrio in tal senso, per evitare che semplici giornate di pioggia, come il 16 ottobre in Calabria, soprattutto nella parte settentrionale, non siano spauracchi senza senso che non fanno altro che creare precedenti problematici per la gestione delle vere emergenze.
Davide Beltrano

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