domenica

Sanremo 2026: un cast che divide e un banco di prova difficile per Carlo Conti

 

Il cast annunciato per il Festival di Sanremo 2026 ci consegna un messaggio chiaro e immediato: per Carlo Conti questa potrebbe essere una delle edizioni più complesse della sua carriera. Dopo settimane segnate da rifiuti eccellenti e trattative sfumate, il direttore artistico si presenta con una rosa di artisti che, pur mirando alla varietà e alla rappresentanza di generi differenti, sembra poggiare soprattutto su nomi meno affermati del panorama musicale italiano.


Non mancano i colpi di scena: la presenza di Tommaso Paradiso dà un peso importante al cast, così come incuriosisce la coppia inedita formata da Fedez e Masini, che promette attenzione mediatica e discussione sui social. Tuttavia, questi picchi non bastano a bilanciare un elenco che, per molti osservatori, appare meno brillante rispetto alle edizioni precedenti.


Una parte consistente dei selezionati non sembra avere, almeno sulla carta, il potere di attrarre pubblico al di fuori della propria nicchia. Un rischio rilevante, considerando quanto negli ultimi anni il “parco nomi” sia diventato uno degli elementi decisivi per il successo del Festival, in grado di catalizzare discussioni, ascolti, streaming e copertura giornalistica già settimane prima dell’inizio della kermesse.


Naturalmente, come spesso accade, la qualità delle canzoni potrebbe ribaltare ogni previsione: Sanremo ha costruito la sua leggenda proprio sulla capacità di sorprendere, lanciare talenti e rivelare brani destinati a rimanere. Ma allo stato attuale, il cast del 2026 appare uno dei meno convincenti degli ultimi anni, lasciando una sensazione diffusa di occasione mancata.


Conti, forte della sua esperienza e della sua credibilità televisiva, dovrà lavorare molto sulla costruzione dello show e sulla valorizzazione di ogni singolo artista per trasformare un cast apparentemente debole in una narrazione capace di coinvolgere il pubblico. Una sfida non semplice, ma che potrebbe diventare il fulcro dell’intera edizione.

mercoledì

Dov’è finita la sinistra calabrese? Il lungo declino di una forza che aveva saputo far sperare

 

La domanda che oggi aleggia nella politica calabrese non è un capriccio analitico, né una sterile provocazione: dov’è finita la sinistra che un tempo pulsava, che generava consenso, che sapeva interpretare bisogni, sogni e paure di una terra complessa? Dov’è finita quella forza che, solo pochi anni fa, aveva portato Mario Oliverio a governare la Regione Calabria dopo la stagione di Giuseppe Scopelliti? La sinistra che nel 2014 sembrava poter riaccendere una tradizione storica, sociale e culturale, oggi appare svuotata, smarrita, quasi dissolta sotto il peso dei suoi stessi fallimenti.


Non è un mistero, anzi è ormai percezione comune, che la sinistra calabrese abbia perso compattezza, mordente, identità. L’esito delle ultime elezioni regionali non è solo una sconfitta numerica, ma il simbolo di un crollo politico e narrativo. Pasquale Tridico, indicato come il possibile punto di ripartenza, è diventato invece la rappresentazione plastica di una leadership fragile, logorata dalle polemiche, prigioniera di un tormentone - “Resta. Torna. Crediamoci.” che lo ha accompagnato più della sua proposta politica. La sua campagna elettorale, scandita da tensioni interne e una comunicazione incerta, si è schiantata contro un Roberto Occhiuto capace non solo di consolidare un potere già forte, ma di parlare con un linguaggio determinato a un elettorato tradizionalmente refrattario.


Occhiuto ha vinto sui social, ha vinto sugli annunci d’impatto, ha vinto sull’immagine di concretezza. Ha saputo intercettare studenti e giovani parlando di “reddito di merito”, ha costruito una narrazione semplice ma efficace, ha dato l’idea di un governo dinamico, persino amichevole. Tridico, al contrario, ha perso su ogni terreno: visione, linguaggio, strategia, presenza. E soprattutto è venuto meno al suo stesso slogan, scegliendo Bruxelles e il suo calore istituzionale invece della lotta, aspra e piena di spine, che lo attendeva in Calabria. Una scelta che ha rotto il fragile patto con quei cittadini che, pur dubitando, gli avevano accordato una speranza.


Questo fallimento individuale si innesta però in un fallimento collettivo: quello di una sinistra regionale che da anni non fa autocritica, non elabora nuove classi dirigenti, non riesce a produrre parole che parlino davvero alla gente. 


La crisi calabrese è figlia anche della crisi nazionale, con un Partito Democratico guidato da Elly Schlein che fatica a imprimersi, a essere riconosciuto come alternativa solida, e di un universo di sigle progressiste che si muove come una costellazione slegata, spesso autoreferenziale. 


In Calabria questa frammentazione diventa smarrimento: non c’è una figura autorevole, non c’è un progetto politico, non c’è una visione. E ciò che resta è una nostalgia che guarda ai grandi del passato — a partire da Giacomo Mancini — come se il loro ricordo potesse ancora guidare un presente che però è cambiato radicalmente.


Il paradosso è che proprio questa debolezza a sinistra rafforza una destra che, pur con le sue tensioni interne e i suoi malumori sulle nomine di potere, appare compatta, determinata, costruita intorno a un leader carismatico. Una destra che, nonostante le traversie giudiziarie e i problemi strutturali della regione, riesce a comunicare l’idea di un percorso, magari lento e imperfetto, ma pur sempre un percorso. E in una Calabria stanca, sfiduciata, ferita, anche un piccolo passo avanti può sembrare un balzo verso la speranza.


La sinistra, invece, resta immobile. Prigioniera di logiche interne, divisioni storiche, personalismi, errori di comunicazione e incapacità di leggere la società. È come se avesse perso il legame con quella parte di Calabria che un tempo considerava naturale riferimento. Una Calabria che ha ancora bisogno di una visione progressista, soprattutto perché i temi che dovrebbero appartenere alla sinistra — lavoro, diritti, istruzione, ambiente, legalità, welfare — sono oggi più urgenti che mai.


Il punto è che per rinascere non bastano i nomi, non bastano le alleanze, non bastano i simboli. Serve un lavoro profondo, culturale prima ancora che politico. Serve ricostruire un’identità collettiva, una missione, un’idea di futuro che sia realmente alternativa a quella proposta dal centrodestra. Serve coraggio, serve verità, serve una leadership nuova, giovane o meno giovane ma soprattutto credibile, capace di parlare alla gente e non ai circoli interni.


La strada che attende la sinistra calabrese è lunga, tortuosa e irta di ostacoli. Ma non è impossibile. Perché ogni crisi può diventare opportunità, se affrontata senza alibi. Oggi però la sinistra sembra ancora smarrita nel suo labirinto, mentre la destra avanza compatta, capitalizzando ogni incertezza altrui. E se un cambiamento è possibile, dipende da quanto la sinistra avrà il coraggio di guardarsi allo specchio e riconoscere la propria debolezza, per trasformarla finalmente in forza.


Davide Beltrano

Ritornare alla militanza: una scuola politica per i giovani!


Viviamo in un tempo in cui la politica sembra essersi smarrita nei meandri della comunicazione virtuale. Le parole scorrono veloci sui social, i pensieri si consumano in un clic, le idee si disperdono nella superficie di un like. Ma la politica, quella vera, non è fatta di slogan effimeri o di apparizioni digitali: è fatta di presenza, di ascolto, di mani che si stringono e di sguardi che si incrociano. È fatta di militanza.

Noi di Italia del Meridione crediamo che sia tempo di ritornare alla militanza concreta, a quella partecipazione viva che unisce le persone nei valori, nel territorio, nella condivisione quotidiana. I social sono uno strumento, importante e necessario, ma non possono essere il fine ultimo di un impegno politico che voglia dirsi autentico.

La politica che sogniamo – e che vogliamo costruire – parte dal basso, dal contatto umano, dall’ascolto vero dei bisogni e delle speranze della nostra gente.

Crediamo che la militanza non sia un concetto antico o superato, ma una forma di consapevolezza. È la spinta che ci fa alzare ogni giorno con la voglia di migliorare il luogo in cui viviamo. È fatica, dedizione, ma anche entusiasmo e passione.

Ecco perché sento forte la necessità di una scuola politica per i giovani, un luogo di formazione e di confronto, dove idee e valori possano crescere insieme. Non un’utopia, ma un laboratorio di concretezza. Perché la politica non è velleità, ma essenza e costruzione del futuro.

Solo attraverso una militanza viva, continua e coerente con i nostri principi, possiamo restituire alla politica la dignità che merita.
Solo con la forza dei valori possiamo restituire speranza al presente e visione al futuro.
E solo così potremo davvero avvicinare le nuove generazioni alla politica, non come spettatrici, ma come protagoniste di un cambiamento reale.

Ritornare alla militanza significa ritornare a credere. E noi, in Italia del Meridione, ci crediamo davvero.

Avv. Felicia Tiesi
- Direzione Provinciale di Italia del Meridione -

VIVERE… O NIENTE!!!

 

Lasciarsi morire o decidere di morire. Un dilemma esistenziale. Un obbligo per alcuni, una scelta di vita… e di morte per altri. Dopo la notizia della scomparsa delle gemelle Kessler il dibattito è esploso di nuovo: è giusto poter scegliere di morire, o sarebbe più “giusto” seguire il corso della vita, così come arriva?

Qualcuno diceva che “prima di giudicare qualcuno, devi camminare per un miglio nelle sue scarpe”. Credo che mai come questa volta sia impossibile penetrare davvero nel cuore di ciò che hanno provato le due sorelle. Un legame profondo, viscerale, quasi primordiale. Un legame che non si può spiegare se non lo si è vissuto: loro non erano semplicemente due persone nate insieme, erano una sola identità distribuita in due corpi. Una simbiosi dolce e feroce, una presenza reciproca talmente radicata da rendere insopportabile l’idea di un mondo vissuto in solitudine.

Non conta se non sono riuscite ad andare “oltre” se stesse, perché questo va oltre ogni discussione: lì entra il territorio delle relazioni intime, dei rapporti che ti forgiano, delle ferite invisibili, dei litigi che cementano più di qualsiasi promessa. Ciò che conta è che le Kessler hanno scelto. E lo hanno fatto autonomamente, consapevolmente. Perché nessuno sceglie quando nascere, ma forse possiamo — almeno in parte — scegliere come vivere, come resistere, come dire basta a questa baracca folle che è l’esistenza.

Non può essere la fede a dettare legge su questo. Non un unico Dio, non un’unica visione morale. Se rifiutiamo le dittature in vita, non possiamo accettarle quando si tratta delle nostre decisioni più intime, quelle che non tolgono nulla a nessuno tranne che a noi stessi. Il dibattito è accesso, si apre come crepe su una superficie che a guardarla da lontano sembrava liscia. Ma la scelta suprema resta sempre lì, dietro l’angolo, soprattutto quando la sofferenza avanza e offusca tutto, quando la dignità è l’ultimo baluardo che ci rimane.

Non si giudica chi decide di vivere un martirio: non si dovrebbe giudicare chi sceglie il contrario. La libertà rimane tale solo se non arreca danno a terzi, e in questa scelta il danno non esiste: è un atto che riguarda solo sé stessi, un solstizio privato, un punto di svolta che ognuno dovrebbe essere libero di stabilire.

Poche manfrine. Poche chiacchiere fra scienza e fede. Ci sono momenti in cui la vita diventa una domanda troppo grande per essere risolta con un dogma.
E alla fine resta una sola verità: il rispetto.

Il rispetto per chi resta, per chi sceglie, per chi lotta e per chi smette di farlo.
Perché la dignità — quella vera — non conosce tribunali.»

Davide Beltrano

martedì

Gestione idrica, Greco replica alla Morrone: “Ricostruzione falsa e tecnicamente infondata. Castrolibero non poteva partecipare al PNRR”.

 

Si accende il dibattito sulla gestione idrica a Castrolibero dopo le dichiarazioni della consigliera Morrone, che ha diffuso un post accompagnato da una foto con l’amministratore Sorical Calabretta.

Per Giovanni Greco — ex sindaco, oggi assessore al Bilancio e già presidente del Consiglio direttivo dell’EGA (Ente di Governo dell’Ambito dell’AIC) — quanto dichiarato «è falso, pretestuoso e fuorviante».

- L’ambito territoriale istituito con la Legge Regionale 18 maggio 2017,  n.18 

I Comuni calabresi non possono partecipare a bandi autonomamente ma solo attraverso l’ambito territoriale ottimale istituito con apposita l.r. 18 maggio 2017 n.18, attraverso la quale si dispone l’organizzazione del sistema idrico integrato. L’autorità idrica calabrese, AIC, oggi ARRICAL, svolge, infatti, le funzioni di programmazione, organizzazione e controllo sull’attività di gestione del servizio idrico integrato nel rispetto delle norme e in conformità con quanto disposto dalla legislazione comunitaria e nazionale. 

La stessa Sorical risponde alla consigliera Morrone: “Occorre una doverosa precisazione al sua post: il Comune di Castrolibero, così come tutti i comuni d'Italia, non poteva partecipare ai bandi del Pnnr o o chiedere l'accesso da fondi Ue o nazionali per l'efficientamento delle reti idriche. In Italia solo gli Enti d'Ambito (come Arrical) e i gestori (come Sorical) possono partecipare ai bandi di finanziamento per il settore idrico”.

Greco, quindi, smonta l’affermazione della Morrone secondo cui Castrolibero “non ha mai partecipato ai bandi PNRR per la rete idrica”.

«È una ricostruzione totalmente errata» spiega l’assessore.

«Nel 2017 — ricorda Greco — tutti i Comuni calabresi, Castrolibero compreso, sono rientrati nell’ambito territoriale unico e da quel momento, cosi come previsto dalla legge, solo l’ente d’ambito poteva e può partecipare ai finanziamenti previsti per il servizio idrico integrato, e non i singoli Comuni. La consigliera omette questo passaggio decisivo e crea un falso presupposto politico».

Greco aggiunge che il PNRR, approvato in versione definitiva dopo le modifiche richieste dall’UE da luglio 2021 (l’approvazione definitiva del PNRR come piano nazionale è avvenuta il 13 luglio 2021 con la Decisione di Esecuzione del Consiglio UE, ma è stato successivamente modificato più volte), non permetteva l’accesso diretto ai Comuni per gli interventi idrici ricadenti nell’ambito territoriale.

«Castrolibero non poteva partecipare — ribadisce — perché la normativa lo vieta. Non è una scelta politica: è un vincolo di legge.»

Greco sottolinea poi che Castrolibero ha contribuito a redigere il Piano d’Ambito predisposto dall’AIC tra il 2019 e fine 2020:

«È un documento generale che individua gli interventi necessari per la rete idrica calabrese: adduzione, distribuzione, recupero delle perdite, infrastrutture critiche. 

Da ex presidente dell’EGA, Greco ricorda di conoscere “con precisione la linearità tecnica e temporale dell’intero processo idrico regionale”.

Greco risponde anche all’appunto della Morrone, relativo al calo di pressione idrica:

«Che il problema derivasse da una crisi idrica generale era già noto, comunicato e documentato. Presentarlo come una scoperta ottenuta in un colloquio con Sorical è fuorviante e induce i cittadini a credere che l’amministrazione fosse all’oscuro di tutto, cosa completamente falsa».

Sul tema delle utenze classificate come “domestico non residente”, Greco chiarisce:

«Da mesi stiamo collaborando per aggiornare gli elenchi e correggere possibili  errori, affinché ogni cittadino paghi il giusto e possa ottenere il bonus sociale quando ne ha diritto. Non è certo una novità emersa oggi». E infine Greco conclude. «Quella della consigliera Morrone é una narrazione costruita per creare confusione e mi spiace veramente che tutto questo venga fatto su un tema così importante come il sistema idrico regionale. Sulla gestione dell’acqua occorrono la conoscenza degli atti e il rispetto delle istituzioni. Diffondere informazioni inesatte significa alimentare sfiducia nei cittadini e generare un dibattito falsato. L’amministrazione continuerà a lavorare sui fatti, non sulle invenzioni e sarà proiettata al dialogo, come sempre, ma che esso avvenga su verità documentate e non su semplici illazioni che lasciano il tempo che trovano.»

lunedì

Anna Giulia Mannarino: “Castrolibero è una rete che cresce: la comunità si ritrova tra cucina, canto, danza e solidarietà”.


“Cos’è l’oceano se non una moltitudine di gocce”. Questa frase tratta dal romanzo “Cloud Atlas” di David Mitchell, sembra essere proprio uno dei concetti chiave delle iniziative di Anna Giulia Mannarino, consigliera del Comune di Castrolibero con delega ai Servizi Sociali, alle Politiche per la Famiglia e alla Terza Età.

Una responsabilità verso i propri cittadini, e non solo, un continuo divenire trascinato da entusiasmo e partecipazione.

Ne sono un esempio i sorrisi dei volontari che si sono dedicati all’iniziativa “Aliante Kitchen”, promossa dall’associazione Aliante APS ( con la presidenza di Anna Laura Mattesini ) e con il sostegno del Comune di Castrolibero e della stessa consigliera Anna Giulia Mannarino.

Un laboratorio di cucina, ma soprattutto di comunità: mani che impastano, storie che si intrecciano, e la tavola che diventa punto d’incontro tra generazioni. La prima lezione é stata interamente dedicata alla pizza e ha visto protagonista il Maestro Pizzaiolo Giuseppe Bozzo.

«Dietro ogni attività c’è un obiettivo preciso: far sentire tutti parte di una famiglia più grande, quella della nostra comunità» — spiega Anna Giulia Mannarino.

Attività in essere sul territorio che sono un supporto fondamentale per tanti cittadini: da laboratori di cucina al corso di ballo (promossa insieme alla scuola MA.LU.MA. Dance con i maestri Raffaella Scarano e Luca Andrieri) ; dal corso di recitazioni a quello di canto; e tanti altri ancora ne arriveranno dedicati a tutte le fasce d’età.

Il progetto Aliante Kitchen è quindi solo l’ultimo tassello di un mosaico più ampio che da tempo anima il territorio grazie all’operato quotidiano di associazioni come il “Centro anziani Isabella Quintieri” e la già citata Aliante APS. E ogni iniziativa sembra nascere da una radice comune: l’attenzione alla persona, la voglia di non lasciare indietro nessuno.

«La vera forza di Castrolibero sono le persone — aggiunge Mannarino —. Quando istituzioni e associazioni lavorano insieme, nascono esperienze che fanno bene al cuore della comunità. È questo il senso del nostro impegno quotidiano».

“Un ringraziamento - sempre dalle parole della consigliera comunale - va all’Associazione Aliante APS e alla sua presidente Anna Laura Mattesini, per la capacità di trasformare l’entusiasmo in momenti di crescita condivisa; all’Associazione Centro anziani Isabella Quintieri, guidata da Celestina Costabile, per la costante presenza nelle iniziative di solidarietà; e alla Maluma Dance, che con grazia e passione accompagna la terza età in un percorso di movimento e sorriso”.

L’attenzione di Anna Giulia Mannarino e del tessuto associativo di Castrolibero non è solo istituzionale, ma profondamente umana. Ogni progetto, che sia una pizza, una danza o un gesto di vicinanza, diventa occasione per riscoprire il senso autentico dello stare insieme.

Perché la comunità, quando si riconosce nei suoi gesti più semplici, ritrova se stessa. E la politica sociale, quando è fatta di mani tese e di ascolto, smette di essere un compito e diventa un sentimento condiviso.

Davide Beltrano

giovedì

Autostazione di Cosenza: si alza il livello di pericolosità.

 

Francesco Civitelli: Presidente di “Costruiamo il Futuro” e componente del Comitato popolare provinciale.

In una nota dichiara che la situazione in via delle medaglie d'oro e in particolar modo presso l'autostazione è diventata pericolosa e invivibile. 

Queste ripetute azioni ad atto criminosi e criminale she si verificano in modo repentino hanno portato i cittadini ad un livello di attenzione elevato, basti pensare che alle 16.30-17.00 c'è il coprifuoco, le persone rientrano a casa e si privano della libertà di stare per strada in tutta tranquillità.

Droga, prostituzione,scippi, violenza fisica, sono tutti azioni ed elementi tanto da portare chi di dovere a prendere provvedimenti affinché ci sia uno stato di sicurezza tale da consentire ai cittadini ai residenti e ai commercianti di vivere in tranquillità. Noi del comitato insieme al gruppo di costruiamo il futuro chiediamo alle istituzioni comunali e perché no anche regionale uno sforzo affinché si faccia una riqualificazione per rendere sicura la zona, una illuminazione decente perché la luminosità di notte e scarsa, e poi al prefetto se si può installare una postazione H24 utilizzando perché no tutti gli organi delle forze dell'ordine ( polizia carabinieri finanza polizia locale polizia provinciale) in modo da non impegnare un solo corpo.

Credo che l'incolumità delle persone dei commercianti dei residenti e di chi vive l'autostazione non ha prezzo. 

martedì

Sanremo Giovani: di giovane ormai è rimasto solo il titolo!!!


Fanno bene a chiamarlo ancora Sanremo Giovani, perché veramente di giovane ne è rimasto solo il titolo.

Non c’è più quel guizzo che caratterizzava gli artisti di qualche anno fa, quelli che da questo format riuscivano davvero a farsi notare. Oggi sembra un copia e incolla musicale, un format che si ripete secondo canoni prestabiliti.

E allora mi viene da dire: se questi sono i giovani, mi tengo volentieri i “vecchi”!!!

Stasera su Rai 2 è andato in onda uno spettacolo mediocre, che non rende giustizia alla grandezza della musica italiana. E non me la prendo con gli artisti in gara — ci mancherebbe — si impegnano, fanno sacrifici, inseguono i propri sogni. Ma a mancare sono le canzoni. I testi. Le armonie. Tutto si perde dietro mode contemporanee che stridono con l’originalità.

Non c’è niente di nuovo.

Niente che riesca a inchiodare l’ascoltatore come solo una bella canzone può fare.

C’è confusione anche nei ruoli: un direttore artistico che fa pure il presentatore rischia di non avere la giusta lucidità per comprendere la qualità di ciò che ascolta. Nessuno può essere così competente da fare tutto — a meno che tu non sia Pippo Baudo. Ma di Baudo ne nasce uno ogni cinquant’anni.

E sia chiaro, non è una critica personale a Carlo Conti, che anzi considero tra i migliori conduttori del momento. È proprio il sistema ad essere malato: ha perso la sua capacità di proporre e si limita a riproporre sempre lo stesso cliché musicale imposto dalle case discografiche.

Conti ha provato a lanciare Gazzoli, ragazzo molto noto sui social, ma più che un presentatore sembrava un influencer prestato al palco. E ironia della sorte, Conti era persino vestito in modo più moderno di lui.

E poi, caro Gazzoli, te lo avrebbe detto anche Pippo Baudo: alla prima apparizione a Sanremo non si tengono le mani in tasca. È una questione di rispetto per la televisione e per il pubblico.

Forse è arrivato il momento di creare una scuola televisiva che prepari i giovani a stare su un palco, non solo davanti alla fotocamera di uno smartphone.

Non dico di avere sempre ragione, ma nel corso della mia carriera, se con artisti come Vasco Rossi, Laura Pausini, Zucchero e tanti altri abbiamo avuto ragione forse qualcosa di questo mestiere possiamo capirla.

Oggi, invece, parlano solo influencer, giudici improvvisati e professionisti del “so tutto io” che con la musica non c’entrano niente.

Ritorniamo alla competenza.

É ora di cambiare musica!!!


Dino Vitola

venerdì

Orlandino Greco: “Acqua, una battaglia di verità e responsabilità”.

Negli ultimi giorni e nelle ultime settimane ho visto e ascoltato tanti video, tante dichiarazioni e commenti sul problema della mancanza d’acqua in Calabria. È un tema che tocca la vita di tutti, e che oggi, da neo consigliere regionale, sento come una delle battaglie più urgenti e delicate.

Ma credo che chi ricopre un ruolo istituzionale non debba fermarsi alle formule semplicistiche che spesso trovano sfogo solo sui social. Tutti vogliamo l’acqua, è ovvio. Ma governare significa capire cosa c’è dietro i problemi, e soprattutto proporre soluzioni concrete, non slogan.

Le criticità del servizio idrico sono reali, e nessuno può negarlo. Sono il risultato di decenni di disattenzione, di investimenti mancati e di una rete che in molti tratti è ormai obsoleta. Tuttavia, la Calabria ha finalmente avviato un processo di cambiamento che non possiamo ignorare.

Con la legge regionale n. 10 del 20 aprile 2022, è nata l’Autorità Rifiuti e Risorse Idriche della Calabria (ARRICAL), una riforma strutturale che ha riunito in un’unica governance pubblica due settori strategici: acqua e rifiuti. È stato un passo decisivo verso una gestione moderna, efficiente e soprattutto interamente pubblica.

Oggi la nuova Sorical non è più la stessa di ieri. È una società in house, appartenente a tutti i Comuni della Calabria: quindi, a tutti i calabresi. Ciò significa che la responsabilità della gestione non è più solo regionale, ma diffusa, condivisa, partecipata.

La governance del sistema idrico è ora nelle mani dell’Assemblea di ARRICAL, composta da quaranta sindaci rappresentativi di tutto il territorio. È lì che si definiscono priorità, investimenti, strategie. È lì che bisogna portare la voce dei territori, non sui palchi della polemica.

Il Piano d’Ambito regionale è stato approvato, le risorse europee e ministeriali ci sono, gli strumenti normativi anche. Quello che serve adesso è passare dalla teoria alla pratica, accelerando sui progetti di ammodernamento e riduzione delle perdite. Le dispersioni idriche, in alcune aree superiori al 50%, rappresentano una ferita aperta che va sanata con serietà e pianificazione, non con accuse generiche o proclami mediatici.

La Calabria ha oggi l’occasione di dimostrare che può gestire in modo trasparente e competente un bene essenziale come l’acqua. Ma per farlo serve collaborazione, non conflitto. Serve verità e responsabilità condivisa.

Chi ricopre un ruolo pubblico ha il dovere di essere parte della soluzione, non di alimentare il rumore di fondo. L’acqua non può diventare un terreno di propaganda, ma deve restare un diritto di cittadinanza garantito con lavoro, competenza e visione.

Oggi, più che mai, è il momento del coraggio istituzionale e del senso di comunità. Perché il futuro della Calabria si misura anche da qui: da come saprà gestire la sua acqua, e da quanto sarà capace di trasformare le parole in opere.

giovedì

La Conca d’Oro: una storia di famiglia che continua con entusiasmo.


Da oltre quarant’anni “La Conca d’Oro” accompagna la vita quotidiana di Castrolibero.

Sorrisi, abbracci, delizie gastronomiche e frammenti di quotidianità che rimangono impressi nel bagaglio di tante persone.


Non è solo un bar ma un punto d’incontro, un simbolo di identità locale e di continuità familiare. La mente e il cuore di tutto questo è Damiano Morrone e, accanto alla sua carismatica figura, ci sono oggi anche i suoi figli Corrado, Francesco e Veronica, che con entusiasmo e spirito di iniziativa partecipano a scrivere le nuove pagine di una storia iniziata nel 1978. E, anche se non dietro il bancone, Vanessa, la quarta figlia, resta parte viva di questo legame, sostenendo con affetto e orgoglio l’attività di famiglia.


Li abbiamo incontrati per parlare di lavoro, famiglia e di un luogo che per molti è ormai casa.


Corrado, “La Conca d’Oro” è da sempre parte della vita di Castrolibero. Cosa rappresenta per voi oggi?

“Rappresenta le nostre radici. È il luogo dove siamo cresciuti e dove abbiamo imparato il valore del lavoro, dell’impegno e della costanza. La Conca d’Oro è un pezzo della nostra famiglia, e vederla ancora oggi piena di vita è una grande soddisfazione. Ogni giorno cerchiamo di dare il nostro contributo, continuando a costruire qualcosa insieme a nostro padre.”


Francesco, lavorare in famiglia non è sempre semplice. Come vivete questa esperienza?

“È vero, lavorare insieme richiede equilibrio, ma la forza del nostro legame rende tutto più naturale. C’è rispetto reciproco e la voglia di crescere senza mai dimenticare da dove veniamo. Papà è il cuore di tutto questo, ma ci lascia spazio per proporre idee, confrontarci e portare un po’ della nostra visione. È una collaborazione continua, non un passaggio di testimone. Siamo pronti alle nuove sfide che ci attendono.”


Veronica, anche tu da tempo sei parte attiva nella gestione quotidiana. Cosa significa per te far parte di questa squadra di famiglia?

“È una grande fortuna e una grande responsabilità. Sono cresciuta tra i profumi del caffè e le voci dei clienti, che per noi sono quasi una seconda famiglia. Lavorare con mio padre e i miei fratelli è un modo per condividere ogni giorno un pezzo di vita, con le difficoltà e le soddisfazioni che questo comporta. La Conca d’Oro è casa, e farla vivere con il sorriso è il mio obiettivo più grande.”



Corrado, qual è secondo te il segreto che rende la Conca d’Oro un punto di riferimento da così tanti anni?

“Credo sia la semplicità unita alla passione. Qui la gente sa di trovare un sorriso sincero, un clima familiare, un ambiente dove sentirsi a casa. La costanza e la cura quotidiana fanno la differenza. Ogni caffè, ogni parola scambiata, ogni piccolo gesto racconta la nostra idea di accoglienza. Questo bar non lo cambierei con nessun altro al mondo, sempre con il rispetto per il lavoro di tutti.”


Francesco, come si guarda al futuro senza tradire la tradizione?

“Con equilibrio. Il nostro obiettivo è rinnovarci senza stravolgere ciò che la gente ama. Oggi c’è più attenzione ai dettagli, alla comunicazione, ai gusti dei giovani, ma lo spirito resta quello di sempre. La Conca d’Oro è un punto fermo, e vogliamo che lo resti anche negli anni a venire.”


E se doveste descrivere in una frase la vostra visione comune?

Corrado: “Essere un luogo dove il tempo si ferma, anche solo per un caffè.”

Francesco: “Continuare a far vivere un sogno familiare, ogni giorno, insieme a nostro padre.”

Veronica: “Trasmettere a chi entra la stessa serenità e passione che noi sentiamo nel viverlo.”


Alla Conca d’Oro, la tradizione non è mai nostalgia, ma presenza viva.

È una storia che continua, trascinata dall’entusiasmo di un padre e alimentata dall’amore dei suoi figli — Corrado, Francesco, Veronica e Vanessa — che ne custodiscono ogni giorno lo spirito più autentico.


Davide Beltrano

Allerte meteo: tra prudenza e psicosi. Quando la prevenzione diventa disagio!

 

Negli ultimi mesi le allerte meteo sono diventate parte della nostra quotidianità. Bollettini colorati — gialli, arancioni, rossi — che, nel giro di poche ore, generano un effetto domino: chiusura delle scuole, blocchi del traffico, servizi sospesi, famiglie in difficoltà a organizzare la giornata.

Una prudenza necessaria, certo, ma che troppo spesso sfocia in una gestione confusa e sproporzionata rispetto ai reali rischi.

Le allerte vengono diramate dal Dipartimento della Protezione Civile, che elabora previsioni e valutazioni basandosi sui dati meteorologici regionali. Ogni Regione, a sua volta, comunica ai Comuni il livello di rischio, e i sindaci – in qualità di autorità locali di protezione civile – decidono se disporre la chiusura delle scuole o altre misure di sicurezza.

È una catena di responsabilità che, almeno sulla carta, dovrebbe garantire prontezza ed efficienza. Ma nella pratica, sempre più spesso, si traduce in incertezze e disagi.

Molti sindaci si trovano davanti a un bivio: seguire alla lettera le allerte per evitare responsabilità o valutare con buon senso la reale entità del rischio. Così, anche in presenza di piogge moderate o previsioni non sempre confermate, le scuole restano chiuse, i genitori si organizzano all’ultimo minuto, e il senso di allarme si diffonde ben oltre la necessità.

Non si tratta di minimizzare i pericoli — il cambiamento climatico impone cautela e rispetto per le regole — ma di ritrovare equilibrio. Un’allerta meteo non dovrebbe paralizzare la vita quotidiana, né alimentare la paura.

Serve una comunicazione più chiara, più uniforme, e soprattutto una maggiore responsabilità nell’applicazione delle misure: la sicurezza non può trasformarsi in burocrazia o in panico collettivo.

Perché la vera prevenzione non è chiudere tutto a ogni goccia di pioggia, ma educare alla consapevolezza, investire nella manutenzione, e restituire fiducia alle istituzioni che gestiscono l’emergenza.

In questo anche l'informazione gioca un ruolo fondamentale, troppo spesso, infatti, si è calcato la mano con titolo ad effetto, vocaboli che sono entrati in modo prepotente nella nostra quotidianità come bombe d'acqua o allerta di colore rosso oppure nomi di cicloni in arrivo per destare più paura. Un modo di fare informazione che confonde, spaventa... destabilizza. 

Bisognerebbe trovare, quindi, un equilibrio in tal senso, per evitare che semplici giornate di pioggia, come il 16 ottobre in Calabria, soprattutto nella parte settentrionale, non siano spauracchi senza senso che non fanno altro che creare precedenti problematici per la gestione delle vere emergenze.

Davide Beltrano

mercoledì

Garantismo dimenticato e giustizia anticipata: il caso degli impresentabili.


Tre candidature sono finite nel mirino della Commissione parlamentare Antimafia nell’ambito dei consueti controlli svolti sul rispetto del codice di autoregolamentazione in vista delle elezioni regionali che si terranno in Calabria domenica 5 e lunedì 6 ottobre.

Il compito della Commissione è, sulla carta, di vigilanza e trasparenza. Ma ogni volta che si parla di “impresentabili”, si innesca un meccanismo che rischia di diventare un’arma a doppio taglio. Da strumento di garanzia per i cittadini, esso può trasformarsi in un marchio che anticipa il giudizio della magistratura, sostituendo la condanna con un’etichetta.

In nessun Paese democratico e garantista sarebbe accettabile che un organismo parlamentare produca effetti simili a una sentenza. La Costituzione italiana è inequivocabile: ogni cittadino è innocente fino a condanna definitiva. Eppure, il linguaggio mediatico e politico attorno agli “impresentabili” finisce per alimentare processi sommari che nulla hanno a che vedere con il diritto.

Il garantismo non è un lusso, ma la base stessa dello Stato di diritto. Senza questo principio, il rischio è che sospetto e colpa diventino sinonimi, minando la credibilità delle istituzioni e privando i cittadini della libertà di scegliere i propri rappresentanti senza condizionamenti.

La lotta contro le infiltrazioni criminali è un dovere imprescindibile. Ma trasformare un codice etico in sentenza anticipata significa piegare la giustizia al pregiudizio. Ed è bene ricordarlo: senza garantismo, non c’è democrazia.

Davide Beltrano

Gelsomina Ferrara: l’arte che diventa emozione.

 


C’è un filo invisibile che unisce la musica, i sogni e l’arte visiva: lo tesse Gelsomina Ferrara, artista campana capace di trasformare un ritratto in una storia, un volto in un universo. Ogni volta che le sue opere accompagnano i libri dei fans - il progetto editoriale su Vasco, Ultimo e tanti altri artisti - ciò che ne scaturisce non è una semplice immagine, ma un segno tangibile di memoria, passione e appartenenza.

Con il suo talento, Ferrara non si limita a dipingere: scava. Nei lineamenti che ritrae c’è sempre qualcosa di più, una vibrazione nascosta, un respiro collettivo. Il suo ultimo lavoro per la copertina de Il Re degli Stadi ne è la prova lampante: un intreccio di passato e presente, dove “il vecchio che fu” incontra “quello che è”. Non una contrapposizione, ma una convivenza. Un’anima doppia che racconta la fedeltà eterna dei fan del Blasco e, allo stesso tempo, la loro capacità di rinnovarsi senza mai tradire se stessi.

Ogni ritratto di Gelsomina è una porta spalancata: dietro ci sono storie, ricordi, abbracci di concerti, lacrime di canzoni. Il suo segno pittorico non è mai neutro, ma vibra di energia comunicativa. È come se riuscisse a tradurre in immagine ciò che la musica lascia dentro: una scossa che non si dimentica, un sentimento che prende forma e colore.

Ferrara sorprende perché non resta mai in superficie. La sua arte è corpo e anima, gesto e pensiero, materia e simbolo. È la dimostrazione che il ritratto non è solo rappresentazione, ma ricerca di significato. Ogni tratto, ogni ombra, ogni scelta cromatica è un invito a guardare più a fondo, a lasciarsi attraversare dall’emozione.

Così, nelle pagine dei Libri dei Fans, i suoi ritratti non sono soltanto copertine: diventano porte d’ingresso per i lettori, chiavi di accesso a un viaggio che unisce fan, musica e memoria. Ed è proprio lì che Gelsomina Ferrara compie il suo miracolo: rendere eterna la passione, trasformare l’attimo in segno, e la fedeltà di un popolo musicale in opera d’arte.

Davide Beltrano

martedì

Il bar come fonte di resistenza: la Conca d’Oro e la memoria viva di Castrolibero.

 


I bar sono sempre di meno luoghi di ritrovo. Una sorta di destino inesorabile che non è frutto del caso, ma di un cambiamento profondo che negli ultimi decenni ha modificato le nostre abitudini. Un cambiamento che ha visto l’interazione digitale schiacciare quasi ogni tipo di relazione umana. Luoghi, sensazioni, odori, sapori che appartenevano alla quotidianità si sono trasformati in like, follower, faccine social e visualizzazioni da TikTok.

Una forzatura dei tempi, un declino relazionale che rappresenta con precisione ciò che siamo diventati oggi: più connessi con l’universo intero, ma molto meno a fuoco con il mondo che ci circonda da vicino. Ci ritroviamo a dialogare con l’idea di una comunità globale, dimenticando spesso che le comunità locali, quelle fatte di sguardi, parole e piccoli gesti quotidiani, sono l’anima della nostra esistenza.


Ecco allora che luoghi di ritrovo come il bar La Conca d’Oro di Castrolibero diventano simboli di resistenza culturale, spazi capaci di resistere al tempo, oltre le mode del momento e l’iperconnessione dilagante. Non semplici bar, ma centri nevralgici dove l’umanità continua a riconoscersi.


Damiano Morrone, deus ex machina della Conca d’Oro, lo sa bene. Il suo non è solo un bar: è un luogo che lega l’appartenenza a un territorio – quello di Castrolibero – con la fedeltà ai sapori tradizionali e alla cultura dell’accoglienza.


«Oggi è sempre più difficile creare interazioni umane – racconta Morrone –. Noi, nel nostro bar, teniamo alto il vessillo della comunicabilità fra persone. Non è solo venire qui e prendere un caffè, un cappuccino o un cornetto: è un ritrovo dove ci si confronta, si discute e si prende un po’ di tempo da questa vita frenetica.»


Dal 1978, quando decise di investire sul territorio di Castrolibero, Morrone porta avanti la sua attività con una convinzione precisa: difendere i luoghi della memoria collettiva. Una scelta che oggi rivendica con orgoglio.


«Oggi parlo del mio bar – aggiunge – ma facendolo mi sento di parlare a nome di tutti. Ogni attività radicata sul territorio ha una marcia in più, perché rappresenta il passato, il presente e il futuro di una città. Quante volte ci ricordiamo di un posto perché lì vicino c’è un bar iconico o una pasticceria storica? Questi sono segni del tempo che non cedono alla modernità.»


Il valore di queste realtà non sta solo nella qualità dei prodotti, ma nella loro capacità di custodire simboli e tracce d’identità, elementi che diventano patrimonio di un’intera comunità.


«La vera sfida di oggi – prosegue Morrone – non è tanto portare avanti i nostri prodotti con fedeltà, quello lo faremo sempre. La sfida è resistere alle cosiddette stanze digitali che portano tanti giovani a chiudersi a riccio. Io credo che il mondo digitale sia fondamentale anche per la promozione delle attività, ma l’essenza di un dialogo a tu per tu nel mondo reale non ha eguali.»


Il Bar La Conca d’Oro è dunque un presidio che si oppone al declino relazionale e alla desertificazione dei rapporti umani. Un luogo che conserva intatta la funzione originaria del bar: non solo servire bevande e dolci, ma offrire un rifugio di comunità.


In un tempo in cui i rapporti rischiano di ridursi a un clic, la Conca d’Oro ci ricorda che la vera connessione non è quella virtuale, ma quella che passa da un sorriso dietro al bancone, da una chiacchiera improvvisata tra amici, da un buongiorno condiviso davanti a una tazzina di caffè.


E forse proprio qui, in questi gesti semplici, resiste la Calabria più autentica: quella che non rinuncia a incontrarsi e a riconoscersi.


Davide Beltrano