sabato 14 settembre 2019

INTERVISTA A PINO APRILE!

Pino Aprile prima che un giornalista, prima che uno scrittore di successo, è un combattente del Sud! Non è nostra intenzione fare un introduzione logorroica e scontata del personaggio, oppure scrivervi la sua biografia: quella la trovate sul web in ogni dove. In questo giornale niente sarà mai scontato, come questa intervista nella quale Pino Aprile si espone con la sua solita sincerità e semplicità.

Pino Aprile ha rotto il silenzio sul Risorgimento italiano con il libro “Terroni”, e poi ha continuato in questa direzione scoprendo un Sud un po’ diverso da come falsi intellettuali di turno vogliono far apparire all’Italia intera. Pino Aprile è un Uomo incazzato come il resto della popolazione meridionale, popolazione ormai alla mercé di saggi con verità calate dall’alto e di un passato, troppo spesso, rubato!
Ma ora no, ora, anche grazie al web, è cambiato tutto… sta cambiando tutto! Ma lo dicevamo in apertura, le nostre interviste non mirano a promuovere il lavoro di turno dell’intervistato, o a fare quattro chiacchiere buttate là, per fare solo rumore. Le nostre interviste sono mirate e fatte a persone che prima di tutto, stimiamo immensamente! Pino è una di quelle, è un grandissimo onore per noi avergli potuto fare un paio di domande, siamo onorati veramente e lo ringraziamo di cuore!!
Ora vi lasciamo con le parole di Pino Aprile, vi lasciamo con dubbi, domande e qualche risposta… di un combattente del Sud… uno dei tanti… dei troppi, per qualcuno!



INTERVISTA



Salve Pino, crede che si siano fatti dei passi in avanti per il riconoscimento reale della verità storica sul Risorgimento italiano?

Sì. Forse, stiamo svoltando il punto di non ritorno. I dubbi sulla vulgata ufficiale del Risorgimento sono ormai tanti e diffusi. Abbiamo persino potuto leggere, su una rivista di storia, un docente universitario spiegare che gli storici italiani si sarebbero premurati non di raccontare come sono andate davvero le cose, ma di presentarle (e magari sceglierle) in modo da educare all'amor patrio. Eravamo convinti che il loro compito fosse un altro… Naturalmente, non bisogna generalizzare. Un esempio importante del contrario è l'ottimo libro del professor Eugenio Di Rienzo, Il Regno delle Due Sicilie e le Potenze europee, in cui si leggono documenti finora inediti sulla politica britannica, per distruggere lo Stato borbonico: altro che epopea dei Mille! La produzione editoriale non accademica su questi temi è fertilissima; e, in occasione del 150simo anniversario dell'Unità, è divenuta dominante.


Lei crede che Garibaldi sia più una vittima o un carnefice?

Né l'una né l'altro. Non credo si possa dubitare del suo sincero desiderio di vedere l'Italia unita, l'ossessione e il programma di una vita. Ma non so dire quanto lui fosse consapevole di essere usato; la costruzione del suo mito è stata una delle più riuscite operazioni di marketing di sempre. E il personaggio si prestava: vita avventurosa, il poncho, marinaio nei mari del Sud… Quello che rende un po' patetica la figura di Garibaldi, agli occhi di alcuni, è il sospetto, non infondato, che alla fine, lui stesso finì per prendere sul serio il suo mito. La pronipote ha detto che si sarebbe alleato anche il diavolo, per raggiungere il suo obiettivo. Lui, poi, ringraziò la Massoneria e la Gran Bretagna; ma, più onesto di tanti altri, denunciò pubblicamente quello che i piemontesi stavano facendo al Sud; suo figlio combatté con i “briganti” meridionali, quando vide lo scempio spacciato per fraterno abbraccio. A posteriori, si tende a vedere gli eventi come un percorso lineare, mentre bisogna ricordarsi che sono frutto di progetti, interessi, ideali, circostanze impreviste che cambiano le carte in tavola e portano a scelte che potranno essere riviste… Io credo che Garibaldi, spogliato del suo mito, resti una figura molto interessante, non “nonostante”, ma proprio a causa delle sue incredibili contraddizioni: si pensi a quello che combinò in Sud America, ai rapporti con i latifondisti.


Perché c'è bisogno di far conoscere ai giovani meridionali la verità sull'Unità d'Italia? Non c'è il pericolo di un ulteriore spaccatura?

Alcuni sono convinti, in buona fede, che la verità sul Risorgimento, possa spaccare questo Paese mai davvero unito; e si comportano di conseguenza. Io sostengo il contrario. Si consideri la vicenda di Pontelandolfo e Casalduni, i paesi del Beneventano rasi al suolo dai bersaglieri nel 1861, per rappresaglia; con fucilazioni in massa, i paesi incendiati con la gente imprigionata nelle case, stupri, torture, saccheggio… Un massacro di cui non c'è traccia nei libri di storia, in un secolo e mezzo. Per oltre cinquant'anni, a partire dal Centenario dell'Unità, i sindaci di Pontelandolfo hanno chiesto di essere almeno liberati dalla taccia di “paese di briganti”, mentre i sindaci di Vicenza deponevano ogni anno una corona d'alloro dinanzi alla lapide in onore del colonnello vicentino che guidò la strage. Quando testi non accademici hanno resa di dominio pubblico la mattanza di Pontelandolfo, il sindaco di Vicenza ha portato al paese del Beneventano le scuse della sua città e dedicato una strada a Pontelandolfo; e il presidente della Repubblica ha chiesto perdono a nome dell'Italia. Per la prima volta, dopo 150 anni, pontelandolfesi e vicentini sono stati italiani uniti.

Perché non esiste una Lega per il Sud che si preoccupi dei veri problemi del meridione italiano? Cosa manca al Sud per una spinta politica epocale?

La Lega Sud, intesa come uguale e contraria a quella Nord, è almeno improbabile, mancando un dato fondante di quella bossian-maroniana: il razzismo. La nascita di un movimento politico forte che rappresenti gli interessi calpestati del Sud indurrebbe tutti i partiti a prendere atto di un bisogno vero, pena l'emarginazione. Il risultato migliore, a mio parere, sarebbe una acquisizione di consapevolezza da parte di tutti, comunque la pensino. L'equità dovrebbe essere nel patrimonio ideale di tutti. Mentre a destra, i parlamentari meridionali votavano (e votano) con la Lega Nord contro il Sud; e quelli di sinistra, meridionali e no, fingevano di non poterlo impedire.


Lei crede che i giovani oggi siano più rassegnati o invece il problema è che siano troppo comodi?

Non credo proprio che i giovani siano rassegnati: inventano, si sfidano, cercano nuove strade. Poi ci sono quelli che aspettano e, nel frattempo, si lasciano vivere. Ma questo è sempre stato. Si badi solo a un dato che dice quanto siano colpevoli i padri italiani rispetto ai propri figli: in nessun Paese occidentale c'è un tale accanimento contro le nuove generazioni: nessun salario sociale, tagli feroci alla scuola e alla ricerca, precarietà assoluta, mentre la gerontocrazia dominante (da nessuna parte i vecchi hanno tanto potere quanto da noi) si appropria di risorse, garanzie, rendite, pensioni e assistenza intoccabili e non lascia i posti di comando: qualche anno fa si calcolò che 75 gerontocrati avevano in mano la quasi totalità delle leve del potere; uno solo aveva oltre un centinaio di incarichi!

Cosa pensa dei tanti giovani che abbandonano il Sud per emigrare nel settentrione italiano? Secondo lei bisogna resistere o scappare via?

Io non posso e non devo dare consigli o giudizi sulla vita degli altri. Non intendo dire che non abbia opinioni, e non le nascondo, ma  posso decidere della vita degli altri. Sono un giornalista: osservo e riferisco. E nei miei libri più recenti ho invitato a riflettere su un fenomeno nuovo, interessante e in poderosa crescita: mentre decine di migliaia di giovani vanno via ogni anno, un sorprendente flusso di ritorno riporta a casa migliaia di giovani che pure hanno situazioni, non solo di lavoro, invidiabili al Nord o all'estero. E tantissimi altri rifiutano offerte allettanti altrove, per restare nei propri paesi, convinti che sia possibile costruirsi un futuro a casa e che il poco (almeno all'inizio) che possono ottenere al Sud valga più del tanto che avrebbero altrove. In “Mai più terroni” racconto cosa riescono a fare, grazie alle possibilità della Rete web, che si rende all'istante contemporanei di chiunque, ovunque. In pochi anni, da ultima, la Puglia è divenuta una delle prime regioni italiane per incremento della nascita di aziende dell'innovazione e, in questo campo, il Sud, con oltre 30mila ricercatori, produce già più di un terzo delle esportazioni italiane. Il flusso di giovani “di ritorno” o decisi a non andarsene è divenuto così imponente, che uno dei migliori etnografi italiani, Vito Teti, dell'università di Arcavacata, Cosenza, li studia come una inedita tribù e ha ideato, per questo, una nuova branca dell'antropologia, che ha chiamato “La Restanza”.

I suoi progetti futuri. Quale sarà il prossimo libro?

Sempre Sud, sulla capacità, poco raccontata, di costruire un tessuto sociale sano. (Davide, “progetti futuri” contiene una ripetizione, perché i progetti possono riguardare solo il futuro; quelli del passato sono ricordi; quelli del presente non sono più progetti).

Ultima domanda. Che suggerimento vorrebbe dare a tutti i ragazzi che formano questo giornale di denuncia online senza profitti e senza sponsor? Qual è la via da seguire?

Quella che seguite. Ma cercando di fare in modo che questo lavoro renda. Le imprese su base volontaria sono encomiabili, seminano buoni esempi, ma muoiono con la morte dei volontari (o il loro allontanamento, per tantissimi e giustificati motivi). Quindi, va bene cominciare così, ma mirando a fare in modo che questa iniziativa divenga economicamente corretta: produca reddito da distribuire a chi lo produce. Fosse anche poco, molto poco, ma si tratta di una educazione alla corretta funzione del lavoro.

IlFolle Betrano

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